Il volo di Volodja…

 A quindici dalla scomparsa di un grande sfortunato campione

Era una domenica di fine inverno-inizio primavera del 1978. Non ricordo se ero a casa per studiare o casualmente. Ricordo solo che rimasi tutto il pomeriggio a guardare la TV. C’erano gli europei di atletica al coperto, quando lo sport aveva per un tredicenne, l’aurea di qualcosa di attraente a prescindere. E quando l’atletica italiana aveva un mucchio di atleti di livello mondiale (Dorio, Simeoni, Mennea, Ortis…). Sono passati 36 anni, ma per la storia è passata un era geologica.
Questo libro di  Giuseppe Ottomano e Igor Timhoin (in realtà è un riassunto di un lungo romanzo del secondo) , narra la storia umana e sportiva dell’eroe di quella giornata. La storia di Vladimir Yashenko (come si scriveva all’epoca) (“Volodia”), prodotto e poi rifiuto di quel mondo orwelliano che era l’Unione Sovietica.

Ricordo l’emozione che provocò quella gara e le gesta di quel fantastico diciottenne, già primatista mondiale all’aperto (2,33) che adottando uno stile di salto (il “ventrale“) già considerato all’epoca vetusto (**) portò il record del mondo a 2 metri e 35: una misura ancora oggi di livello assoluto. (tuttoggi primato mondiale juniores al coperto dopo 36 anni)

Per trasmettere il suo salto di primato, venne perfino interrotto l’atteso servizio di “domenica sprint” sul derby di Milano…
Yashenko fu una meteora: ragazzo ucraino troppo velocemente diventato eroe nazionale, addirittura star mondiale , ma ancor più velocemente distrutto da dirigenti voraci e arrivisti e da medici e chirurghi incapaci la cui carriera era basata sull’appartenenza politica.  Migliorerà ancora anche il mondiale all’aperto con 2,34, vincerà gli Europei di Praga di quell’anno (gli stessi in cui Sara Simeoni vincerà dopo aver battuto il mondiale femminile sempre nel salto in Alto). Poi sparì. Dimenticato dai più. Pensai che fosse finito in una carriera militare nell’Armata Rossa.
Salvo scoprire pochi mesi fa su Wikipedia, che Yashenko mori in miseria nel 1999 a poco più di 40 anni distrutto dall’alcool e da una vita problematica, vittima di se stesso ma anche dello stesso sistema che lo aveva creato.
Una storia che racconta un mondo non c’è più, e che appare oggi quasi incredibile. Un mondo però che va conosciuto, in questi giorni in cui Russia ed Ucraina sono due paesi di fatto in guerra e non più parti di un sistema politico (e sportivo) del tutto particolare.
C’erano paesi con un nome il cui significato è difficile da spiegare in due parole : Unione Sovietica, Cecoslovacchia, Jugoslavia, Germania Est. Esistevano città che si chiamavano all’epoca Leningrado, Gor’kij, Karl Marx Stadt e che comprendeva paesi oggi nell’unione europea come la Polonia , allora più lontana della luna.

Paesi che non potevi visitare liberamente a meno non fossi un atleta nazionale o figlio di importanti membri del Partito comunista Italiano e solo dopo pratica burocratiche estenuanti e finendo schedato come politicamente pericoloso (non sto affatto scherzando).  Paesi da cui i cittadini residenti non potevano uscire, anzi nell’Unione Sovietica, lo stato che pure garantiva una mediocre sussistenza a tutti, vigeva l’obbligo di un “passaporto” per prendere un treno e recarsi nella città vicina. Dove anche il cambiare residenza doveva essere autorizzato. Nel mentre noi non distinguevamo tra Ucraini, Russi, Georgiani, Estoni, Lituani: tutti erano “russi” o “sovietici”. Soprattutto era l’epoca della possibile guerra nucleare che avrebbe potuto distruggere il mondo.
L’URSS era uno stato che poteva recluderti in un ospedale psichiatrico  solo per aver espresso una critica al governo in una chiacchierata al bar.
Questo in un mondo senza internet e il cui lato occidentale, il nostro  dal punto di vista della libertà di movimento era per altri limiti una vera schifezza. Chiuso ottuso nei confini nazionali.  Ma ne parleremo in altri post.
Forse per queste distanze gli eventi sportivi internazionali avevano un fascino irripetibile.
Insomma un libro che consiglio di leggere agli appassionati di sport e/o di storia per scoprire come quel mondo che qualcuno rimpiange non era poi tanto bello, ma soprattutto per conoscere la storia esaltante e drammatica di un grande atleta.

 

 

Per asperne di più:

http://www.sportvintage.it/2009/05/15/il-volo-di-volodja/

Vladimir Yashenko: l’angelo biondo

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